Sentenze giudiziarie e pensionamento anticipato in Italia: un nuovo scenario? Ecco una pronuncia che tutti dovrebbero conoscere
Negli ultimi giorni, due sentenze giudiziarie hanno scosso il panorama del pensionamento anticipato in Italia, mettendo sotto la lente d’ingrandimento alcune delle pratiche consolidate dall’INPS. Queste decisioni hanno riacceso il dibattito sulla possibilità di andare in pensione prima del previsto, ma si tratta di una rivoluzione effettiva o solo di un’interpretazione che potrebbe non avere un impatto immediato sulle regole esistenti?
Queste sentenze rappresentano un potenziale punto di svolta, ma non modificano immediatamente le normative in vigore. In effetti, le decisioni dei tribunali non cambiano le leggi, ma offrono una nuova interpretazione che potrebbe essere usata come base per futuri ricorsi. Questo crea una situazione di attesa: da un lato, i lavoratori sperano in un adeguamento delle norme da parte del legislatore o in una circolare chiarificatrice dell’INPS; dall’altro, si apre per loro la possibilità di impugnare decisioni negative, forti del supporto giurisprudenziale appena ottenuto.
In questo contesto di incertezza, è fondamentale che i lavoratori colpiti da queste problematiche comprendano i dettagli delle sentenze e valutino, se necessario, l’opportunità di un ricorso. Gli avvocati e i consulenti previdenziali potrebbero giocare un ruolo chiave nel tradurre questi precedenti in vantaggi concreti per i loro clienti.
Pensioni: le pronunce della magistratura
Il primo caso riguarda l’Anticipo Pensionistico Sociale, o Ape sociale, una misura che permette ai lavoratori con almeno 63,5 anni di età e 30 anni di contributi di andare in pensione anticipata, a condizione che rientrino in specifiche categorie: invalidi, caregiver o disoccupati. Per i lavori gravosi, i requisiti salgono a 36 anni di contributi. La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 24950 del 17 settembre 2024, ha messo in discussione uno dei pilastri dell’interpretazione dell’INPS: il collegamento tra l’Ape sociale e la Naspi, l’indennità di disoccupazione.
Tradizionalmente, per accedere all’Ape sociale, un disoccupato doveva aver esaurito il periodo di indennizzo della Naspi. Tuttavia, la sentenza della Cassazione ha semplificato la definizione di “stato di disoccupazione”, eliminando la necessità di aver percepito l’intera Naspi, purché non si riceva contemporaneamente l’Ape sociale. Questo nuovo orientamento permette a chi non ha mai richiesto la Naspi, ma ha perso il lavoro involontariamente, di accedere comunque all’Ape sociale. È un cambiamento che, seppur significativo, non modifica la legge, ma offre un precedente cui i contribuenti possono appellarsi.
L’altra sentenza rilevante, numero 24916, riguarda i requisiti per la pensione anticipata ordinaria, che richiede 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Tradizionalmente, l’INPS richiedeva che almeno 35 di questi anni fossero contributi da lavoro effettivo, escludendo quelli figurativi derivanti da Naspi o malattia. La Cassazione, tuttavia, ha interpretato diversamente la normativa, affermando che tutti i contributi, inclusi quelli figurativi, dovrebbero essere considerati validi per raggiungere il totale necessario. Questo ribaltamento dell’approccio dell’INPS potrebbe avere un impatto significativo per molti lavoratori che, a causa di periodi di disoccupazione o malattia, vedevano compromesso il loro accesso alla pensione anticipata.