Tante persone temono, per vari motivi, il pignoramento del conto corrente. Il rischio c’è, soprattutto in alcuni casi: cosa sapere
Il pignoramento del conto corrente è una procedura esecutiva che può avere conseguenze significative per chi si trova nella posizione di debitore inadempiente. Tuttavia, è essenziale comprendere che esistono delle limitazioni specifiche in base alla tipologia di debitore e alla natura del credito stesso. Vediamo, quindi, quando scatta questa procedura e quali sono le limitazioni previste dalla legge.
La possibilità per un creditore di procedere al pignoramento del conto corrente di un debitore è regolata dal Codice di Procedura Civile, in particolare dagli articoli 543 e 492. Il pignoramento del conto corrente rientra nella categoria del pignoramento presso terzi, in cui il terzo è rappresentato dall’istituto bancario presso il quale è aperto il conto del debitore. Questa procedura consente al creditore di soddisfare il proprio credito prelevando le somme depositate sul conto corrente del debitore.
Chiunque si trovi in una situazione di debito deve sapere che il pignoramento del conto corrente è una possibilità concreta. Ma che esistono protezioni e limiti legali che tutelano i debitori più vulnerabili, come i pensionati e i lavoratori dipendenti. Queste normative mirano a garantire un equilibrio tra il diritto del creditore di recuperare il proprio credito e la necessità di proteggere il minimo vitale del debitore.
Come funziona il pignoramento del conto corrente
Il processo inizia con la notifica dell’atto di pignoramento sia al debitore sia alla banca. L’atto deve contenere informazioni specifiche, tra cui l’indicazione del credito da recuperare, il titolo esecutivo, il precetto e l’elenco dei beni o delle somme oggetto del pignoramento. Deve inoltre includere un invito al debitore a comparire davanti al giudice competente e un avviso alla banca di non disporre delle somme senza autorizzazione del giudice.
Una volta notificato l’atto, la banca è tenuta a informare il creditore sulla disponibilità dei fondi presenti sul conto. Se il conto è capiente, il creditore può procedere con il pignoramento; altrimenti, potrebbe decidere di interrompere la procedura. La banca deve congelare le somme fino al valore del credito reclamato, aumentato del 50% per coprire eventuali costi procedurali, fino alla data dell’udienza stabilita per il pignoramento.
Tuttavia, esistono delle limitazioni significative quando il debitore è un lavoratore dipendente o un pensionato. Le somme depositate sul conto prima della notifica del pignoramento, derivanti da stipendio o pensione, sono protette fino al triplo dell’assegno sociale, che è circa 1.600 euro. Questa protezione non si applica ad altre entrate, come affitti o redditi di diversa natura, che possono essere interamente pignorati.
Un’altra limitazione riguarda le mensilità accreditate sul conto dopo la notifica del pignoramento. Queste possono essere pignorate solo fino al limite di un quinto, calcolato sul netto dello stipendio o della pensione, fino a soddisfare la pretesa creditoria. Per le pensioni, prima di calcolare il quinto pignorabile, deve essere dedotto il minimo vitale, che è equivalente a due volte l’assegno sociale e non può essere inferiore a 1.000 euro. Questo significa che, ad esempio, una pensione pari a 1.000 euro non può essere soggetta a pignoramento.
Se il creditore è l’Agenzia delle Entrate, le regole sono leggermente diverse. In questo caso, lo stipendio o la pensione possono essere pignorati entro determinati limiti. Un decimo per importi fino a 2.500 euro mensili, un settimo per redditi mensili compresi tra 2.500 e 5.000 euro, e un quinto per importi superiori a 5.000 euro.
