La certificazione energetica degli edifici: oggi si registra un nuovo obbligo. Ecco come adeguarsi per non avere problemi
Il tema della certificazione energetica degli edifici rappresenta uno dei nodi cruciali per la transizione ecologica a livello europeo. In Italia, il recente rapporto dell’Enea evidenzia un progresso significativo: per la prima volta dal 2019, la percentuale di edifici classificati nelle classi energetiche meno efficienti, F e G, è scesa sotto il 50%. Tuttavia, se confrontato con le direttive europee, emerge un quadro di ritardo e lentezza nell’adattamento alle nuove normative.
La direttiva europea “Energy Performance of Building Directive” (EPBD), conosciuta anche come direttiva “case green”, impone che entro il 2026 l’Attestato di Prestazione Energetica (Ape) sia conforme a un nuovo modello. Questo modello sarà obbligatorio per gli edifici di nuova costruzione, quelli sottoposti a ristrutturazioni profonde e per gli edifici pubblici. Esso includerà informazioni più dettagliate sul consumo energetico complessivo e altri indicatori di qualità energetica. Tuttavia, l’Italia sembra arrancare nel prepararsi a queste scadenze.
In un panorama europeo che vede paesi come la Germania e la Svezia investire massicciamente in politiche di incentivazione per la riqualificazione energetica, l’Italia rischia di restare indietro. In Germania, programmi di finanziamento come quelli offerti dalla Kreditanstalt für Wiederaufbau, con prestiti agevolati e sovvenzioni, hanno stimolato un significativo aumento della domanda di riqualificazione energetica. La Francia, invece, ha integrato il suo programma di certificazione energetica con incentivi fiscali, che includono sovvenzioni e detrazioni per interventi migliorativi, come l’isolamento termico e la sostituzione di finestre.
Certificazione energetica: i costi
In Italia, molti proprietari vedono la certificazione energetica come un semplice adempimento burocratico, un obbligo imposto piuttosto che un’opportunità per migliorare l’efficienza energetica e ridurre i costi a lungo termine. Questo atteggiamento si traduce in un numero limitato di edifici che raggiungono standard elevati di efficienza, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei dove le politiche di incentivazione e la semplificazione burocratica hanno avuto un impatto positivo.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dai costi. In Francia, ad esempio, il prezzo dei certificati di prestazione energetica è aumentato del 15% dopo l’estate, con costi che variano tra 100 e 250 euro. Anche in Italia, i costi per ottenere un Ape possono essere un deterrente, specialmente in assenza di incentivi che rendano più attrattivi gli investimenti in riqualificazione energetica. La situazione potrebbe peggiorare se l’Italia non riesce a adeguarsi rapidamente alle nuove normative, rischiando di trasformare la certificazione energetica in una sorta di nuova tassa per i cittadini.
Il caso della Francia, che ha annunciato il divieto progressivo di locazione degli immobili meno efficienti, potrebbe diventare un esempio di come una politica energetica possa influenzare il mercato immobiliare e le abitudini dei cittadini. A partire dal 2025, gli immobili di classe energetica G non potranno più essere affittati, una decisione che potrebbe avere ripercussioni significative sul patrimonio immobiliare e sugli investimenti privati.