Lo Tsundoku, un termine affascinante che proviene dal Giappone, racchiude una pratica tanto curiosa quanto comune: l’abitudine di accumulare libri sugli scaffali senza mai leggerli. Questo fenomeno non è solo una mera questione di pigrizia o procrastinazione, ma un riflesso profondo del nostro desiderio di esplorare il sapere e di ampliare i nostri orizzonti culturali.
Lo Tsundoku si inserisce perfettamente nell’immaginario collettivo nipponico, un concetto che ha radici storiche nell’era Meiji tra il 1868 e il 1912. La parola stessa è una fusione di diversi termini giapponesi: “tsunde“, che significa accumulare, “oku“, che implica lasciare da parte, e “doku“, che sta per leggere. Questo amalgama linguistico racchiude il paradosso di chi vive l’intento di leggere senza mai realmente farlo, creando un legame complesso tra acquisizione del sapere e mancanza di tempo.
Nonostante l’importanza di questa pratica non venga sempre compresa nel profondo, lo Tsundoku è diventato un modo di vivere per molti nel mondo moderno. La frenesia giornaliera e le molteplici distrazioni della vita contemporanea rendono difficile trovare il tempo per dedicarsi alla lettura. Così, molti di noi si ritrovano a collezionare titoli su titoli nella speranza di un futuro momento in cui potranno godere di quelle pagine. È un sentimento di richiamo che unisce aspirazione e realtà, dove ogni libro sugli scaffali rappresenta un’opportunità ancora da realizzare.
L’accumulo di volumi non letti può sembrare, a prima vista, un comportamento poco virtuoso. Tuttavia, ogni libro che giace sugli scaffali è anche un simbolo di aspirazione e possibilità. Infatti, l’idea di possedere un libro non letto, lungi dall’essere un segno di fallimento, rappresenta una sorta di promessa di crescita personale. Ogni volume accumulato simboleggia un universo di concetti da esplorare, un viaggio che attende di iniziare.
La psicologia dimostra che l’atto di acquistare un libro porta con sé una sensazione di gratificazione, collegata alla prospettiva di arricchirsi intellettualmente. Possedere una libreria colma di titoli non letti può infatti generare un senso di comfort; in fondo, ogni libro è un potere in attesa di essere sbloccato. Ci fa sentire meglio sapere che abbiamo a disposizione infinite conoscenze pronte per essere scoperte, anche se, per il momento, rimangono chiuse tra le copertine.
La pratica dello Tsundoku ci parla anche del valore intrinseco dei libri stessi, non solo come oggetti fisici ma come fonti di emozioni e ispirazione. Vederli sugli scaffali, sfogliare le pagine o persino solo possederli può trasmettere un conforto speciale, un’idea di appartenenza a un mondo di lettori e pensatori. Essi ci ricordano le possibilità di un viaggio che abbiamo scelto di posticipare.
In un’epoca in cui il tempo sembra sempre più tiranno, ogni libro accumulato rappresenta una piccola rivincita contro il caos quotidiano. La presenza dei testi non letti funge da incentivo, un richiamo a un momento futuro, quel “quando avrà tempo” che tutti pianifichiamo. Quindi, la torre di libri accumulati non è da vedere come un semplice disordine ma come una galleria di potenziali esperienze letterarie.
Un altro aspetto interessante è legato al concetto di creatività. I libri, anche se non letti, stimolano l’immaginazione. Ci sono storie, idee e pensieri che pululano all’interno di ogni volume. Anche solo la loro presenza può ispirare nuovi progetti, nuove direzioni. La cultura che ne deriva, pur rimanendo in fase latente, è un valore aggiunto che di certo arricchisce il nostro vivere quotidiano, anche in modo indiretto.
Per chiunque ami i libri, lo Tsundoku non è solo una pratica, ma una filosofia di vita che parla di curiosità, aspirazione e infinita scoperta. Che si tratti di collezionare opere famose o volumi rari, ogni libro testimonia un momento di ricerca, un desiderio di comprendere il mondo in modi sempre nuovi.
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