Negli ultimi anni, il tema del sostegno alle madri lavoratrici è diventato sempre più cruciale nel dibattito politico e sociale italiano.
Un recente sviluppo giuridico, proveniente dal Tribunale di Lodi, potrebbe segnare una svolta significativa per le mamme precarie, estendendo loro il bonus mamme, una misura introdotta nell’ambito della Legge di Bilancio 2024. Questo cambiamento ha suscitato entusiasmo tra le lavoratrici precarie e ha sollevato interrogativi sulle conseguenze finanziarie per lo Stato.
Il bonus mamme è stato concepito come un aiuto economico per le madri lavoratrici, in grado di alleviare il peso della contribuzione previdenziale, con un massimo di 3.000 euro all’anno. Inizialmente, il bonus era accessibile solo a madri con contratto a tempo indeterminato e almeno tre figli. Tuttavia, con l’approvazione della Legge di Bilancio 2024, il Governo ha deciso di estendere il beneficio in via sperimentale a madri con due figli, ma solo se in possesso di un contratto stabile e con una copertura fino al decimo anno di vita del figlio più giovane. Questa limitazione ha escluso una grande parte delle lavoratrici, in particolare quelle con contratti precari, scatenando reazioni e ricorsi legali.
Mobilitazione delle mamme con contratti precari
Le mamme con contratti precari hanno avviato una mobilitazione per contestare questa esclusione, ritenuta ingiusta e discriminatoria. L’Anief, Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori, è stata una delle organizzazioni in prima linea, impegnandosi a difendere i diritti di queste lavoratrici. Secondo l’Anief, l’esclusione viola la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, adottato con la direttiva 99/70 del Consiglio dell’Unione Europea. Inoltre, viene considerata una violazione degli articoli 20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che garantiscono il principio di non discriminazione tra lavoratori con contratti di diversa tipologia.
In questo contesto, la sentenza del Tribunale di Lodi ha rappresentato un importante punto di svolta. Il Tribunale ha accolto il ricorso di una docente precaria, stabilendo che anche le mamme con contratti precari hanno diritto al bonus. Questa decisione si basa sul principio di non discriminazione, sancito dalla legislazione europea, e ha annullato la parte della Legge di Bilancio che escludeva le mamme precarie dal beneficio. Si tratta di un precedente legale che potrebbe avere conseguenze di vasta portata, non solo per le lavoratrici coinvolte, ma anche per il sistema previdenziale e finanziario dello Stato.
La sentenza del Tribunale di Lodi ha aperto la porta a una possibile ondata di ricorsi in tutta Italia. Già in Piemonte, ad esempio, sono stati presentati 38 ricorsi da insegnanti precari. Secondo le stime dell’Anief, se tutte le mamme precarie con almeno due figli decidessero di intraprendere un’azione legale, il costo per lo Stato potrebbe superare i 300 milioni di euro nel biennio 2024-2025. Questo scenario evidenzia la potenziale vulnerabilità del bilancio statale e la necessità di rivedere le disposizioni attuali.
Per il Governo, la situazione si presenta complessa. Se il numero di ricorsi dovesse continuare a crescere, si renderebbe necessario un intervento legislativo per rivedere le attuali norme sul bonus mamme. Questo non solo per gestire il carico finanziario, ma anche per garantire un trattamento equo a tutte le madri lavoratrici, indipendentemente dalla tipologia di contratto. La questione del sostegno alle famiglie, in particolare alle madri che affrontano il difficile compito di conciliare lavoro e maternità, è diventata una priorità cruciale per il Governo e la società in generale.