Pensioni, addio agli aumenti nel 2025: la rivalutazione al ribasso impoverisce gli importi

Il panorama previdenziale italiano si preannuncia complesso e sfidante per coloro che decideranno di andare in pensione nel 2025.

Con l’introduzione di coefficienti di rivalutazione significativamente ridotti, i pensionati si troveranno ad affrontare assegni inferiori rispetto a quelli di chi ha scelto di ritirarsi nel 2024. L’ISTAT ha fissato la rivalutazione annuale all’1,6%, un valore che, seppur in linea con le attese di contenimento dell’inflazione, è ben lontano dal 5,4% registrato nel 2023. Questo cambiamento non è soltanto un numero su un foglio di calcolo, ma rappresenta un reale impoverimento per migliaia di italiani che vedranno il loro potere d’acquisto eroso.

La rivalutazione delle pensioni, nota anche come perequazione automatica, è il meccanismo attraverso il quale gli assegni pensionistici vengono adeguati al costo della vita. Questo processo si basa sugli indici forniti dall’ISTAT, e la sua finalità è quella di mantenere il potere d’acquisto dei pensionati.

La rivalutazione delle pensioni, nota anche come perequazione automatica, è il meccanismo attraverso il quale gli assegni pensionistici
Inps cattive notizie per i pensionati (ilmaggiodeilibri.it)

Non tutte le pensioni vengono trattate allo stesso modo. A seconda dell’importo dell’assegno, le percentuali di rivalutazione variano, penalizzando in particolare chi percepisce pensioni più elevate, che subiscono una rivalutazione decrescente.

Nel 2024, con la rivalutazione record del 5,4%, le pensioni più basse hanno ricevuto un adeguamento totale, mentre quelle più alte hanno beneficiato di percentuali ridotte. Questo schema, purtroppo, si ripeterà nel 2025, ma con l’aliquota di rivalutazione notevolmente ridotta. A questo punto, è fondamentale analizzare come la nuova regolamentazione influenzerà concretamente i pensionati.

Esempi concreti: cosa cambia per i pensionati?

Prendiamo in considerazione un lavoratore con un montante contributivo di 400.000 euro. Se decidesse di andare in pensione nel 2024, riceverebbe un assegno annuo di 22.892 euro. Tuttavia, se scegliesse di ritirarsi nel 2025, il suo assegno scenderebbe a 22.432 euro, con una perdita annuale di circa 460 euro, equivalente a 35 euro al mese. Anche se potrebbe sembrare una cifra contenuta, nel lungo periodo questo divario si traduce in un impoverimento significativo.

La rivalutazione nel 2025 avverrà secondo i seguenti parametri:

  1. Fino a 2.100 euro lordi (4 volte il minimo INPS): rivalutazione completa all’1,6%. Una pensione di 1.000 euro riceverà quindi un aumento di circa 16 euro al mese.
  2. Tra 2.100 e 2.600 euro (4-5 volte il minimo): rivalutazione al 90% dell’1,6%, pari all’1,44%.
  3. Tra 2.600 e 3.100 euro (5-6 volte il minimo): rivalutazione al 75% dell’1,6%, pari all’1,2%.
  4. Oltre 3.100 euro (più di 6 volte il minimo): rivalutazione ridotta al 50%, che si traduce in uno 0,8%.

È importante notare che anche le pensioni minime subiranno un piccolo adeguamento, passando da 614,77 euro a 625,83 euro al mese. Tuttavia, ci sono ancora incertezze riguardo a possibili interventi da parte del governo per innalzare questa soglia a 650 euro.

La riduzione degli importi pensionistici avrà un impatto particolarmente grave nelle regioni meridionali d’Italia
Portafoglio più leggero (ilmaggiodeilibri.it)

La riduzione degli importi pensionistici avrà un impatto particolarmente grave nelle regioni meridionali d’Italia, dove il numero di pensionati supera spesso quello dei lavoratori attivi. In queste aree, la maggior parte dei pensionati vive già in una situazione di difficoltà economica, e la riduzione degli assegni rischia di aggravare ulteriormente la situazione. Le famiglie che dipendono da un reddito pensionistico si troveranno a dover affrontare spese crescenti senza il supporto di un adeguato incremento degli introiti.

Inoltre, nei prossimi anni, il sistema previdenziale italiano sarà messo a dura prova dall’aumento del numero di italiani che raggiungeranno l’età pensionabile. Entro il 2028, si prevede che quasi 3 milioni di persone entreranno in questa fascia d’età. Questo scenario non solo crea una maggiore pressione sulle risorse del sistema pensionistico, ma potrebbe anche portare a un aumento delle tensioni sociali, soprattutto in un contesto di inflazione e costo della vita in crescita.

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